Tempo di Brexit: certificazioni in scadenza, import/export a rischio

Il prossimo 1 Febbraio 2020, salvo accordi dell’ultim’ora, segnerà una linea di demarcazione importante per il mondo della certificazione sia volontaria che obbligatoria. Per quanto sia annunciato da tempo si è ampiamente sottovalutato l’effetto brexit su imprese, cittadini e pubblica amministrazione a livello globale. Effetti che possono mettere in crisi, fino a bloccare addirittura, appalti, contratti, distribuzione e vendita prodotti con evidenti rischi di responsabilità civile, ma non solo, per le persone che si assumeranno la responsabilità di controllare e/o accettare certificazioni che possono non essere più valide dal punto di vista legale e quindi non più accettabili all’interno dell’Unione Europea.

Gli “Organismi di Valutazione della conformità” ai sensi del Regolamento UE n.765/2008 sono i soggetti “autorizzati” o direttamente dallo Stato membro (notifica) o dall’Organismo Nazionale di Accreditamento (accreditamento) quando esso esiste e ad esso viene data “delega” per la valutazione della conformità rispetto a norme tecniche volontarie o cogenti (normativa comunitaria di armonizzazione) di prodotti (es. marcatura CE, biologico, etc.), processi (FPC per il calcestruzzo, etc.) e sistemi di gestione (es. ISO 9001, ISO 14001, etc.). Tutto questo per garantire la qualità, la salute e sicurezza, il rispetto dell’ambiente, etc. non creando barriere alla libera circolazione all’interno della UE (da qui armonizzazione) ma con un forte effetto protezionistico per imprese extra UE. DAkkS è l’Organismo Nazionale di Accreditamento per la Germania, Cofrac è quello francese e UKAS è quello del Regno Unito per esempio.

Dal 1 Febbraio 2020 cesseranno quindi di avere validità legale tutte le “certificazioni” e/o “dichiarazioni CE di conformità” emesse da Organismi aventi sede nel Regno Unito cosi come quelle emesse da Organismi che pur avendo la propria sede legale in uno Stato membro della UE siano accreditati UKAS. Tutto questo fatto salvo accordi specifici su un eventuale periodo di transizione ad oggi non ancora definito. I media hanno totalmente ignorato questo impatto limitandosi a portare l’attenzione della opinione pubblica soltanto su dazi, visti e controlli in frontiera ma se pensiamo soltanto che il Regno Unito è stato tra i primi Paesi in cui è nato il sistema di accreditamento nazionale capiamo quanto può essere importante la dimensione del problema dove gli Organismi accreditati UKAS, ma non solo, si stanno guardando bene dal comunicare ai propri Clienti cosa accadrà dopo il 31 gennaio 2020 causando sicuramente un problema ma con ogni probabilità anche danni economici (esclusioni da gare pubbliche, prodotti che non potranno più essere messi in commercio o contratti a rischio revoca per citarne alcuni).

Pensiamo ad una valvola cardiaca (dispositivo medicale) prodotto da un’azienda (fabbricante) nel Regno Unito che non potrà apporre più il marchio CE e quindi commercializzarla all’interno della UE cosi come l’azienda di uno Stato membro che avrà delegato la valutazione della conformità ad un Organismo con sede nel Regno Unito o di uno Stato membro ma “accreditato” da UKAS.

Parimenti una certificazione di sistema di gestione (ISO 9001, ISO 14001, ISO 45001, etc.) non avrà più  validità legale all’interno dell’Unione Europea se emessa da un Organismo avente sede nel Regno Unito o soltanto accreditato UKAS.  Pensiamo a tutti i contratti, pubblici e privati, conclusi o in corso di definizione.

Import/export, anche tra i paesi membri UE, di prodotti e servizi in ogni ambito che non rispetteranno i vincoli definiti a rischio blocco improvviso e una sicura crescita di contenziosi tra imprese, imprese e pubblica amministrazione, tra imprese ed organismi di valutazione della conformità. Ed è solo l’inizio. © 2020, Riproduzione Vietata.

Giuseppe Lepore

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