Non essere cattivo, Claudio

La mia vita di produttore incrocia quella di Claudio Caligari in un tardo pomeriggio di fine settembre 2014. Valerio Mastandrea fa capolino in ufficio per uno di quegli incontri che sembrano casuali ma in fondo non lo sono. Parlando del più e del meno lancia un sasso che svuoterebbe il fiume Po: “Vi interessa produrre con me il film di Claudio Caligari?”. Ora, nella vita di ognuno si incontrano alcune opere che, al di là dell’aspetto artistico, entrano a far parte del nostro bagaglio di esperienze: frammenti dei dialoghi diventano parte del linguaggio quotidiano, così come i tic degli attori entrano nel cervello e vengono poi ripetuti nei contesti più disparati. E allora da trent’anni i “Cor quasi se famo!” e “Canta Tony, canta…” fanno parte del tipico slang del citazionista cinematografico. Amore tossico e L’odore della notte rientrano senza dubbio nella sottile categoria dei cult movie, sono opere di un autore oscuro, aspro. L’idea di un terzo film di Claudio Caligari non poteva suscitare in me un entusiasmo quasi puerile. Da allora è passato un anno, e se Claudio purtroppo non è più tra di noi, il suo Non essere cattivo è vivo e rappresenta il cinema italiano alla selezione per l’Oscar come miglior film straniero. Nel mezzo mesi esaltanti e difficili, frutto della libertà creativa di un autore colto, avverso a qualsiasi tipo di compromesso, integro. Considero da sempre quello di Claudio Caligari un cinema “popolare” nel senso più puro del termine, che dialoga con il proprio pubblico ponendosi ad un livello di osservazione al tempo stesso raffinato ma anti-intellettuale, e soprattutto privo di qualsiasi moralismo residuale. Il suo modo di raccontare le storie è il più diretto possibile, con dialoghi fulminanti, cercando l’essenzialità e la forza in personaggi netti e al tempo stesso autentici. Per questo lo spettatore si appropria facilmente delle battute, tanto da trasformare i film in opere di culto. I suoi tre film raccontano storie dei marginali, di chi non vive entro gli steccati della società e che porta avanti una disperata e dolorosa resistenza all’omologazione, al mondo del consumismo. Nella droga e nel furto si annidano gli ultimi eredi di quel sottoproletariato pasoliniano escluso da tutto, oggi ormai estinto e fagocitato dall’estetica moderna del consumismo. Sin dai primi minuti Non essere cattivo sembra come lanciarsi addosso allo spettatore, metterlo di fronte a personaggi liberi dalle morali che condizionano le nostre esistenze. Cesare e Vittorio sono due figure fuori tempo, vittime uno della droga, l’altro del sogno borghese del lavoro, dell’ascesa sociale, di una società che fa del consumo superfluo l’obiettivo primario. Il mondo artificiale offerto delle pasticche non è più spietato dell’omologazione richiesta dal contesto sociale; se Cesare va incontro ad una fine inesorabile, senza scampo, figlia del totale rifiuto di seguire regole di vita sociale, Vittorio si scontra con il volto della propria compagna, che guardando la loro casa modesta e pensando all’avvenire del figlio, con voce decisa gli chiede: “Ma a te tutto questo te basta?”. Linda pone questa domanda con uno sguardo duro di chi non si aspetta una risposta, ma pone quasi un monito profetico su quello che sarà l’Italia degli ultimi decenni, mai sazia, pronta a perdere la propria identità pur di consumare. E questo punto di vista è figlio di una conoscenza approfondita della materia narrata; di uno sguardo dove non c’è mai nè cinica indifferenza nè spicciolo moralismo. Cesare e Vittorio sono prima di tutto vittime di un cambiamento sociale in atto; litigano, sono violenti ma al tempo stesso si abbracciano, si sostengono, non riescono ad allontanarsi tra loro. La crisi di oggi, il muro dove termina la nostra corsa, parte proprio dai drammi di Non essere cattivo. Nonostante il dolore, quello di Caligari è un inno alla vita disperato, ruvido, gridato a pieno polmoni mentre la vita stessa fugge via. Un respiro amarissimo e al tempo stesso aperto al futuro. E quel bimbo dell’ultima inquadratura ci lascia forse una tenue speranza, popolare e non populista, verso una società e un cinema che sappiano guardare alle loro spalle e riconoscere se stessi. Una sfida, anche produttiva, che in un momento di profonda incertezza creativa vale la pena affrontare. (Simone Isola, © CertineWs 2022).

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