Il mestiere del produttore cinematografico

Si parla ormai da decenni di società dell’immagine, della forza comunicativa che suscita in noi. A ciò si aggiunge un imponente sviluppo dell’aspetto visivo del vivere umano, con l’attenzione crescente nel modo di rappresentarsi. Immagine come rappresentazione di noi stessi. E i social testimoniano il bisogno costante, a volte quasi ossessivo, di puntellare il proprio “status” sociale attraverso la comunicazione delle proprie idee e l’autodifesa della proprio ruolo. Ho potuto verificare sul campo il macigno dei pregiudizi che i giovani produttori si ritrovano come invisibile bagaglio nel loro percorso professionale. È comprensibile che il pubblico generalmente non sappia cosa sia un produttore e se lo immagini perlopiù un miliardario, o un furbastro mediatore di affari, il sentire comune intende al massimo ‘quello che mette i soldi’o ancora un uno che, beato lui, corrompe ragazzine inseguendole sui set; insomma tutto meno quel professionista che è o dovrebbe essere. O peggio un individuo che sperpera denaro pubblico. A questo intrigo di definizioni mi piace contrapporre proprio quella offerta da un grande produttore come Alfredo Bini, che descriveva quello del produttore come uno pochi mestieri rinascimentali ancora possibili (a parte gli artisti individuali e gli artigiani, che però si limitano a operare nella loro specifica attività): un professionista con competenze ed esperienze diverse è in grado di influenzare le varie componenti che concorrono a realizzare il prodotto, ed avere la consapevolezza della totalità e della finalità dell’opera. Solo attraverso la figura del produttore, anche dal punto di vista pratico e giuridico, si concretizzano i diritti di tutti i partecipanti alla creazione dell’opera. Il diritto del regista nei confronti degli scrittori, degli attori, del musicista, dell’operatore e, viceversa, di tutti i singoli o le categorie nei riguardi degli altri, non possono concretamente esistere ed essere in tutti i sensi riconosciuti e protetti se non attraverso il fulcro rappresentato dal produttore. Se a ciò si aggiunge la facoltà di scelta che è la caratteristica precipua del suo lavoro, si può ben dire che in caso di film riuscito non sempre è merito del produttore, ma nel caso di un film sbagliato la colpa gli deve essere in ogni caso attribuita. Esser un buon produttore vuole dire compiere scelte corrette, oneste, tenendo conto del contesto sociale e di mercato nel quale agisce. Eppure intendere in questi termini il proprio ruolo vuol dire collegare tale figura alla produzione di prototipi più che alla serialità industriale. E in questo nasce l’apparente marginalità di alcuni autori e produttori. Senza creatività non c’è innovazione, e la stessa creatività è necessaria per estrarre dalla realtà le opportunità per il cambiamento. Saper rintracciare, riconoscere, coltivare e difendere tale creatività sono i primi impegni del produttore cinematografico che non intende solo “creare” e a sua volta “replicare” l’oggetto artistico trovandogli una collocazione nel mercato, ma che vuole rilanciare costantemente una produzione culturale che ricerchi le istanze più “nascoste” e che possa a sua volta stimolare porzioni quiescenti di pubblico. Ed è solo così che si ottengono le “eccellenze”, sia artistiche che commerciali, lanciandosi nella sperimentazione e registrando risultati positivi ma anche i fallimenti. (Simone Isola, © CertineWs 2023).

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