Crediti di lavoro, prescrizione estintiva e presuntiva

Quindi, decorso il tempo previsto dalla legge, il lavoratore,  perde il proprio diritto al compenso maturato.
Sul punto, senza addentrarci troppo nelle pronunce rese sia dalla Corte Costituzionale che dalla Corte di Cassazione, è appena il caso di segnalare come il termine prescrizionale innanzi citato decorre nel corso del rapporto di lavoro solo nell’ipotesi in cui lo stesso sia assistito da stabilità reale, ossia, sia ad esso applicabile l’art. 18 della Legge 20 maggio 1970 n. 300 che prevede la  reintegrazione nel proprio posto di lavoro del dipendente illegittimamente licenziato (detta norma si applica alle imprese con più di 15 dipendenti nell’unità produttiva, o nel comune, ovvero più di 60 dipendenti nel territorio nazionale); in assenza del predetto presupposto la prescrizione comincia a decorrere solo dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.
In aggiunta a quanto sin qui detto, vale la pena di sottolineare che trova applicazione il termine di prescrizione decennale ogni qualvolta si verta in tema di indennità la cui natura non sia retributiva, oltre che nei casi di indebito, nel qual caso, anche rispetto a pretese  del datore di lavoro.
Nel nostro ordinamento, oltre alla prescrizione estintiva del credito, di cui si è sin qui parlato, esiste altresì la previsione di prescrizioni presuntive.
Infatti, in ragione della necessità di dare certezza ai rapporti giuridici, il legislatore ha inteso introdurre norme a fronte delle quali, il decorso del tempo previsto dalla legge, lascia presumere l’avvenuta estinzione dell’obbligazione.
L’art. 2955 n.2 del codice civile dispone che il diritto dei prestatori di lavoro per le retribuzioni corrisposte a periodo non superiori ad un mese si prescrive in un anno, mentre, il periodo è triennale per i compensi che maturano per periodi superiori al mese (art. 2956 n.1 c.c.).
In termini processuali l’eccezione di prescrizione presuntiva può essere vinta solo attraverso il deferimento del giuramento decisorio.
Quindi, semplicisticamente, se il debitore conferma di aver pagato il creditore dovrà salutare la propria pretesa creditoria.
Nei fatti, però, nelle controversie di lavoro, l’uso di tale eccezione  è particolarmente prudente visto che la contestazione del rapporto sottostante è certamente incompatibile con l’eccezione di prescrizione.
In sintesi, se il lavoratore sostiene di aver lavorato 10 ore al giorno e reclama il pagamento di differenze retributive per 2 ore giornaliere, il datore di lavoro eccependo la prescrizione presuntiva, di fatto, è costretto ad ammettere che il rapporto di lavoro è intervenuto per così come dedotto dal lavoratore; le 10 ore di lavoro diventano acclarate e non più contestabili.
Verrebbe da chiedersi qual’è il problema. Ebbene, è noto che il datore di lavoro è legato agli istituti previdenziali dal “rapporto contributivo” che prescinde da quello che lega l’istituto al lavoratore ed ai suoi diritti.
Per tale ragione, nei termini di prescrizione previsti dall’art. 3 co. 9 legge 335/95 – cinque  anni, o anche dieci in particolari situazioni – l’istituto previdenziale che accerti una omissione contributiva, potrà sempre rivolgersi al datore di lavoro per il relativo recupero, con l’ulteriore aggravio delle sanzioni previste per legge.
Risulta quindi lampante che nelle ipotesi di eccezione di prescrizione presuntiva, il datore di lavoro che abbia corrisposto al lavoratore una retribuzione commisurata alla paga prevista per otto ore giornaliere piuttosto che dieci con buste paga rispondenti, appunto al minore  orario lavorato – ovvero abbia pagato le ore in più lavorate “fuori busta” – se per un  verso potrà resistere e vincere la pretesa del lavoratore, per altro verso  soggiacerà all’azione di recupero contributivo dell’inps o altro istituto.  (f.to avv. R. Tigre)

Share Button