Intervista a Matteo Mauro, contaminazioni tra arte e tecnologia, per raccontare la società di oggi

L’autore delle Micromegalic Inscriptions, premiate con il Van Gogh Prize, parla di come il computer abbia influenzato l’arte negli ultimi 20 anni, dalla creazione alla fruizione. In Italia c’è una “venerazione” passiva dell’arte, che non tiene conto dell’artista, escluso da bonus economici e non considerato

La Boston consulting ha deciso valutare il valore economico del patrimonio culturale di alcuni paesi, tra i quali l’Italia. Per farlo, con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, ha preso in esame gli introiti derivati da musei e siti archeologici, stimandone il valore in 27 miliardi di euro (l’1,6% del Pil) e producono ricavi per 278 milioni di euro.
Sorprende come, per stimare il contributo economico di un settore così importante, si siano presi in considerazione solo i musei e i siti archeologici, lasciando fuori tutta la produzione degli artisti contemporanei. Anche i provvedimenti economici post covid19 sono stati tutti rivolti a strutture che contengono arte, come, appunto i musei, dimenticando completamente chi ne è l’autore.
A tal riguardo, Matteo Mauro, giovane artista italiano che vive a Londra da ormai 10 anni, ha detto “Credo che in Italia ci sia un grandissimo rispetto per l’arte, come un qualcosa di intrinseco alla nostra cultura, ma a livello arcaico, quasi una venerazione passiva. Le persone in Italia amano circondarsi di arte e di bellezza, ma in pochi capiscono davvero l’importanza di investire nell’industria artistica.”

In questa intervista Mauro, che con le sue Micromegalic Inscriptions ha vinto il prestigioso il Van Gogh Prize, parla della sua arte, di come la tecnologia degli ultimi anni abbia influenzato il modo di produrla e di fruirne, ma fa anche il punto dello “stato dell’arte” in Italia e all’estero.

Secondo te, come è cambiato il concetto dell’arte negli ultimi 20 anni?

Negli ultimi 20 anni abbiamo assistito al passaggio dall’oggetto fisico a quello virtuale, e questo ha segnato un modo diverso di interagire con l’arte. L’arte ora entra nelle nostre vite in nuove modalità, non più solo sotto forma di opera o riproduzione da collezionare, come succedeva in passato. Oggi l’arte entra anche nei nostri computer, smartphone e sui social media, come immagine di consumo a tempo determinato.

Tra i tratti peculiari dell’arte dell’ultimo ventennio va sicuramente annoverato il fatto che sia ormai diffusa a livello di massa, con molte copie di ogni opera, e che abbia spesso una durata limitata nel tempo. Un processo che è iniziato con l’avvento della stampa, ed adesso ha raggiunto il suo picco. Pensiamo alla miriade di copie di opere realizzate su supporti fragili in serie illimitata, queste hanno spesso un ciclo di vita veramente breve, soprattutto per la loro natura prettamente legata ad un oggetto di consumo ed anche per la loro fragilità di un materiale difficilmente restaurabile prodotto in massa ed a basso costo, che ha il solo scopo di adornare di forme e colori una parete altrimenti vuota. Ancora più effimera è l’arte condivisa sui social, magari come storia su Instagram o Facebook, con una visibilità di appena 24 ore e con uno scopo limitatamente informativo o pubblicitario

Come descriveresti la tua arte usando solo 3 aggettivi? E quali credi siano i tratti che la caratterizzano maggiormente?

Vorrei prendere in prestito degli aggettivi che spesso utilizzano i curatori per parlare delle mie opere, e che sento davvero miei: iper-contemporanea, immateriale e complessa.
Credo che il vero tratto distintivo delle mie opere sia l’accumulazione di forme, particolarmente evidente nelle Micromegalic Inscriptions, la mia serie più popolare. Sento che i miei lavori siano generalmente molto istintivi ed incontrollabili, colpiscono in modo diretto e prepotente l’occhio dello spettatore.

Con le tue Micromegalic Inscriptions hai ricevuto Van Gogh Prize dato da José Van Roy Dalí, figlio di Salvador Dalí. Come sei arrivato alla realizzazione di queste opere e cosa ha significato per te un simile riconoscimento?

Queste opere sono nate circa 6 anni fa. Tutto è partito da un interesse per le incisioni meccaniche, fatte da coloro che in inglese si chiamano engravers, che indica un particolare tipo di incisori specializzati che creano stampe attraverso l’accumulo di punti o linee. Si tratta di un primo processo di stampa in serie, che veniva realizzato partendo dall’incisione di una placca metallica, poi inchiostrata e, infine, pressata contro la carta. Questo permetteva di ottenere centinaia di immagini uguali.

La mia tecnica ha voluto emulare quel processo analogico, ed è per questo che tutti i miei quadri si basano sull’accumulo infinito di linee, poi alcuni vengono riprodotti in serie, anche numerose, mentre altri restano pezzi unici.

Per anni ho studiato e fatto ricerche, partendo dal 1500 in poi, da quando, cioè, apparvero i primi lavori di questo tipo. Fare questi studi, mi ha dato accesso ad importanti archivi di musei internazionali. Con tutte queste informazioni raccolte, ho deciso di scrivere un libro, con il supporto di un importante ornamentalista e accademico, Oliver Domeisen. Le Micromegalic Inscriptions, dunque, sono nate quasi per caso. Il mio obiettivo principale, infatti, era la ricerca, uno studio durato anni che ha, inevitabilmente, finito con l’influenzare la mia arte.

Il libro è stato pubblicato 3 anni fa con il titolo “Micromegalic Inscriptions” ed è disponibile oggi in molte librerie e biblioteche di importanti musei di tutto il mondo.

Il computer è un elemento importante nelle tue opere. Credi che sarà questo lo strumento che caratterizzerà le correnti artistiche del XXI secolo?

Sicuramente, anche se parzialmente. Persino il pittore classico ormai non lavora più sull’osservazione del modello fisico, ma spesso crea un’immagine digitale con una macchina fotografica che poi viene elaborata, alterata, manipolata al computer, stampata e poi dipinta su tela. Anche chi copia i quadri dei grandi maestri del passato, come ad esempio Caravaggio, non va più al museo per fare i suoi schizzi, mentre ammira l’opera originale. Ora si fa riferimento a immagini osservate attraverso un computer. Lo stesso David Hockney espone opere dipinte all’interno della sua automobile su un Ipad. Possiamo, quindi, dire che il computer è una parte importante degli strumenti dell’artista contemporaneo, sia che lo utilizzi come mezzo di attivazione dell’opera, sia che rappresenti solo uno strumento di passaggio. Sia che questo emula tecniche analogiche esistenti, sia che ne promuove delle nuove. Il ricorso alle tecnologie digitali è uno dei tratti che maggiormente caratterizza l’arte degli ultimi 20 anni, e, insieme al mercato finanziario dell’arte, è ciò che influenza maggiormente lo sviluppo del settore.

Anche in passato è sempre stato così. Si pensi al passaggio del dipinto effettuato tramite lo sfregamento di pietre colorate all’invenzione del pennello e la tela, dal colore preparato lentamente e chimicamente in studio all’invenzione del colore trasportabile in tubetti di latta, ma anche l’impatto della fotografia nella pittura… L’affermazione di una nuova tecnologia influenza tutti gli aspetti della vita, compresa l’arte.

Da circa 10 anni vivi e lavori a Londra, dove hai conseguito anche una laurea in architettura. Credi che paesi come il Regno Unito offrano maggiori opportunità per i giovani e, in particolare, per gli artisti?

Assolutamente sì. Credo che in Italia ci sia un grandissimo rispetto per l’arte, come un qualcosa di intrinseco alla nostra cultura, ma a livello arcaico, quasi una venerazione passiva. Le persone in Italia amano circondarsi di arte e di bellezza, ma in pochi capiscono davvero l’importanza di investire nell’industria artistica.

Per fare un esempio in tal senso, durante questo periodo di crisi portata dal covid19, moltissime categorie sono state citate dai nostri politici per l’erogazione di aiuti finanziari e riuscire a ripartire dopo la crisi, ma mai si è parlato di aiuti al sistema artistico. Piuttosto, si è parlato di sostegno ad istituzioni come musei, andando a privilegiare ancora una volta il contenitore dell’arte ufficiale, a discapito di chi la produce o la gallerizza, che viene completamente ignorato.

L’artista contemporaneo non viene mai venerato, né del tutto apprezzato. Si preferisce focalizzare l’attenzione sui grandi maestri del passato. L’arte in Italia è vista quasi come un hobby sacro, un filosofare da salotto, piuttosto che come un’attività culturale e commerciale come tante altre, come può essere il mondo della moda, o la ristorazione.

Al contrario, in Inghilterra, l’artista contemporaneo ha un ruolo di estrema visibilità nella società. Una società che investe sull’arte e le sue strutture. A dimostrazione, chiunque nel settore artistico ha avuto la possibilità di ricevere aiuti dallo stato inglese durante questo periodo di crisi.

Come hai vissuto il lockdown da covid19? Credi che abbia influito sulla tua creatività?

È stato un momento che ha segnato le vite di tutti, ognuno di noi ha reagito in modo diverso in base alla propria indole. Nel mio caso, ho notato una trasformazione delle mie opere, che sono diventate più melanconiche e sentimentali. In queste settimane chiuso in studio mi sono avvicinato anche a nuovi modi per esprimere la mia creatività. Sono riuscito a lavorare anche su materiali che richiedono più tempo, dato che in quarantena di tempo ne abbiamo avuto parecchio a disposizione. Sono tornato ad utilizzare il marmo per realizzare delle sculture, ma anche il bronzo. Si tratta di materiali che, ormai, difficilmente vengono utilizzati direttamente dall’artista, la cui lavorazione viene spesso affidata ad aziende specializzate, proprio perché richiedono molto tempo, e spesso l’artista non ne ha a sufficienza. Non esistono più le opere prodotte in anni, il mercato richiede velocità e una certa quantità e frequenza nella produzione.

In questo periodo, ho, inoltre, partecipato anche a diverse iniziative online, che mi hanno permesso di incrementare la mia presenza mediatica e spero anche a fare del bene. Il mio studio, ad esempio, ha organizzato tante open call che sono state riprese da importanti testate. Ho messo a disposizione la mia piattaforma, che conta oggi un’audience di oltre 100 mila followers, a chiunque volesse avere visibilità. Ho anche abbracciato l’iniziativa di fundraising “Points of view” di Salotto58, curata e inventata da Marianna Santini, con vendita di opere online. Io ho donato una delle mie opere e ho coinvolto oltre 500 altri artisti, ognuno dei quali ha donato qualcosa. Ho anche creato un opera per il libro ideato da Emeric Tchatchoua destinato ai bambini del Montreal Children’s Hospital in Canada, lavorando a fianco di artisti come André Saraiva, Space Invader, Paul Insect. Nel frattempo, in continue video-conferenze insieme a Virginia Damtsa, ex gallerista di Riflemaker e agente d’arte, abbiamo lavorato all’ideazione delle mosse e mostre future post lockdown o ennesimamente virtuali e alla pianificazione delle nuove opere. Questa è la storia dell’arte e dell’amore ai tempi del covid-19.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

C’è l’attesa di una ripresa e, magari, di una vera e propria rinascita. Tante mostre che avevo in programma, per il momento, sono state messe in pausa. In questo momento c’è tanta voglia di ripartire, ma di farlo nel momento giusto, non solo quando la pandemia sarà finita, ma quando ci sarà di nuovo lo stato d’animo giusto per goderci una mostra e le opere d’arte. Quando sarà possibile, ripartirò presentando in primis le mie nuove sculture in marmo e in bronzo, che stanno crescendo e prendendo vita nel mio studio in questo momento, e non vedono l’ora di uscire. L’intenzione è anche quella di riprendere il tour della mia performance, fermata sul nascere delle pandemia, I only Eat Flowers.

Ciò che accomuna questi miei ultimi lavori è il forte pathos, riscontrabile anche dai loro nomi, come Loves who don’t know how to get by in this world (Amori che non sanno stare al mondo); I live as if a river traversed me (Vivo come se un fiume mi attraversasse); In no place I feel home, In no place I feel human (In nessun luogo mi sento a casa, In nessun luogo mi sento umano); Sweet Half (Dolce Metà); Live on Poetry as Veins Live on Blood (Vivere di poesia come le vene vivono di sangue); Kingdom of Dreams (Regno dei sogni). Sono nomi tratti da poesie, in particolare da quelle di Antonia Pozzi, la poetessa morta suicida a soli 26 anni, che durante i giorni di lockdown mi ha dato grande conforto. Tra queste sculture, credo che l’opera che maggiormente rispecchia il mio mondo interiore di questi mesi è Sweet Half, che definisco una sorta di autoritratto.

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